I DIFETTI DEL METADONE | |||||||
di Roberto Nardini Al giorno d’oggi, anche a seguito del complesso della normativa che dispone l’obbligo per i SERT di mettere a disposizione i programmi metadonici, in particolare del DMS 30 novembre 1990, n. 444 e della circolare ministeriale n. 20 del 1994, quasi tutti i servizi per tossicodipendenti somministrano il metadone. Così, quasi tutti i medici che operano nei SERT sono così convinti di mettere a disposizione degli autentici programmi metadonici. Ma non è così. Fra il dare metadone e la clinica dei programmi metadonici c’è un vero e proprio abisso, e se questo abisso generato da gravi difetti di professionalità non viene colmato, la distribuzione di metadone può al massimo risolversi in una iniziativa per la riduzione del danno, ma non raggiunge minimamente gli effetti che la terapia metadonica, se ben condotta, di solito produce. Con il metadone si possono fare due cose ben diverse fra loro: la riduzione del danno e la terapia. Vediamo in breve quali sono le differenze fra una distribuzione di metadone a scopi genericamente protettivi e un vero e proprio programma metadonico con tutte le sue migliori caratteristiche terapeutiche. La prima e la più importante di queste diversità è generata da quegli operatori che si sono rassegnati a distribuire metadone "obtorto collo". Non sono informati sulle potenzialità di questo farmaco, ne sulla possibilità di organizzarci i programmi più efficaci che si conoscono all’attuale stato della ricerca scientifica e delle analisi delle esperienze cliniche. Possono essere indifferentemente degli oppositori ideologici contro il metadone. Quegli operatori subiscono il fatto che il metadone va comunque dato a chi lo chiede, e dunque mettono in atto ogni scusa per non darlo, per darne poco, ogni pretesto per sottrarlo e per canalizzare i pazienti verso altre modalità ritenute migliori perché risolutive. Nella migliore delle ipotesi, questi operatori accettano di somministrare il metadone in modo reticente secondo un piano preordinato di riduzione, convinti che quella procedura sia la migliore da seguire. Non è affatto vero! Scalare il metadone non è altro che una "sottrazione di terapia in fase attiva di malattia" e la recidiva, generalmente, si verificherà ancora prima della fine dello scalaggio. Purtroppo, avendo questa pratica ridotto sostanzialmente la tolleranza dei pazienti, al momento della recidiva sussiste un grosso pericolo di overdose. Gli operatori italiani, credendo di disintossicare i pazienti, magari anche per immetterli in altri programmi o per inviarli nelle comunità terapeutiche, hanno così prodotto centinaia di morti. Si tratta essenzialmente di malapratica, di mancanza di professionalità, e di completa indifferenza rispetto alla sorte dei malcapitati. La pratica clinica di impiego del metadone che offre i risultati migliori e che oggi è ritenuta corretta è quella della stabilizzazione metabolica a lungo termine, cioè quella della graduale ricerca della dose stabilizzante e dello stazionamento dei pazienti in quella fase per tempi lunghi, almeno fino a quando questi lamentano o mostrano inconvenienti a dosi minori, o senza metadone. Durante questa fase il programma, se ne dispone, potrà conseguentemente attivare sui pazienti stabilizzati tutte quelle risorse integrative di carattere psicosociale delle quali eventualmente abbisognano. I pazienti che ne possiedono individualmente, potranno utilizzarle in modo del tutto autonomo. Ma, tornando agli operatori che subiscono il metadone, il risultato ottenibile da costoro in un servizio non può che essere povero, come del resto lo sarebbe quello di un centro trasfusionale se fosse messo nelle mani di testimoni di Geova. Fra gli inconvenienti di maggiore rilievo, viene poi il principio del: "di meno è meglio". Molti operatori, anche medici, sono convinti che meno metadone si da, meglio è, sia per il paziente che per il programma. Altro errore dovuto all’assoluta mancanza di preparazione. Il farmaco metadone, come si desume dalle esperienze più qualificate, produce effetti benefici del tutto parziali a dosi inadeguate, e gli operatori che così ragionano non fanno altro che dispensare per ogni paziente quantità di farmaco assolutamente inefficaci (dosi subterapeutiche). Questi pazienti potranno soltanto ridurre, non certo eliminare, il numero delle autosomministrazioni di eroina, ma niente di più. C’è inoltre il pericolo concreto che, non avendo eliminato completamente l’appetizione compulsiva, ed essendo gli effetti dell’eroina parzialmente bloccati dalla tolleranza crociata con il metadone, essi ricorrano a psicofarmaci, alla cocaina e all’alcool, sostanze i cui effetti non sono minimamente bloccati dal metadone. La politossicomania è essenzialmente un prodotto della malapratica degli operatori dequalificati che impiegano il metadone senza conoscerlo. Il principio stabilito dalla clinica e dalle linee guida più autorevoli è invece quello della ricerca della dose appropriata per ogni paziente. Sono stati banditi il concetto di "alte dosi" o "basse dosi" e sostituiti con quello più corretto di "dosi adeguate". A questo proposito l’esperienza suggerisce che al di sotto dei 60/70 mg. non si ottiene il completo abbandono dell’eroina, e quel livello di dosaggio è stato considerato il minimo efficace. La maggior parte dei pazienti sarà stabilizzata a dosi che variano da 80 a 120 mg. secondo le originarie indicazioni di Dole e Nyswander, fermo restando che alcuni potranno esserlo a dosi inferiori, mentre altri avranno bisogno di dosi superiori. Per esempio, coloro che hanno scarsa capacità di trasformazione del metadone nel metabolita utilizzabile, hanno a volte bisogno di dosi del tutto inusuali di farmaco, proprio per lo scarsa quantità riscontrabile nei livelli plasmatici anche dopo l’assunzione di dosi che a volte superano i 500mg./di. La stabilizzazione è raggiunta quando il paziente dimostra di non abusare ulteriormente di eroina e di altre sostanze psicoattive e quando riferisce, e il medico verifica, uno stato di benessere generale che si riflette sul suo grado complessivo di funzionalità. Altro problema rilevante è quello della mancanza di counseling. Supponendo che il medico sia preparato su tutte le tecniche appropriate di impiego del metadone, il paziente non lo è affatto, soprattutto a ricevere tutto quel metadone che gli è sempre stato negato o comunque sconsigliato. Egli ha una struttura mentale che gli proviene dalle informazioni che reperisce dalla strada e da quelle che ha avuto da operatori non preparati. Per molti di questi ragazzi non c’è assoluta chiarezza sulla natura della malattia che devono affrontare, ne hanno chiaro il concetto di cura a lungo termine e le caratteristiche del farmaco che dovranno assumere. Spesso non sanno nemmeno che non è la cura a rappresentare il problema. Il problema è la malattia. E’ così che molti tossicodipendenti credono che si possa e che si debba addivenire a qualche risultato con un ciclo di intervento più o meno breve e questa falsa convinzione deriva loro anche dagli operatori che sempre hanno suggerito o imposto pratiche riduttive. "Io me lo levo in 20 giorni, stia tranquillo" dicono spesso, anche per compiacere l’operatore. A questa affermazione il medico impreparato si mostra più disponibile. Quello preparato, invece, attiva il counseling specifico, fino a far comprendere al paziente di essere in una logica del tutto errata che lo mantiene in una assurda "porta girevole" contraddistinta da ricadute cicliche e ineluttabili. Egli si premurerà di informarlo che il metadone non possiede una specifica tossicità d’organo e che può essere usato nelle dosi giuste per periodi lunghissimi senza recare nessuno pregiudizio alla sua salute. Lo informerà che gli effetti collaterali, tutti assai blandi ed ovviabili, generalmente spariscono dopo la stabilizzazione con l’instaurarsi della tolleranza e tenterà di rassicurarlo sul fatto che il farmaco sarà messo a disposizione sempre, senza interruzioni e senza sottoporre chiunque ne abbia bisogno a pratiche umilianti, defatiganti ed impeditive. E qui si innesta un altro problema piuttosto consistente connaturato con la terapia metadonica. Il problema politico. Trattandosi di un programma a lunghissima scadenza che probabilmente impegnerà il paziente nell’arco di qualche anno, esso deve assolutamente essere vivibile, facile da seguire e non interferire più di tanto con le possibili attività ed aspirazioni dei pazienti. Ecco il problema della disponibilità del farmaco in orari ampi per i pazienti non stabilizzati, e quello dell’affidamento del farmaco ai pazienti che hanno raggiunto un buon livello di riabilitazione (take home). Il "take home" non è una concessione. E’ una struttura terapeutica che fa parte integrante della terapia metadonica. Non prevedere il "take home" significa non fare un programma metadonico completo, significa, per fare un esempio, fare un’operazione di appendicite senza poi suturare la ferita. Nella fase di stabilizzazione il paziente diventa anche responsabile del farmaco che assume, ne predispone una adeguata custodia a casa ed il programma interferisce sempre di meno con i suoi impegni e con le sue attività. Come si può pretendere che una persona conduca una vita normale se lo stesso programma di riabilitazione la impedisce? Con una appropriata manovra di "take home" il medico riuscirà ad inserire i pazienti in attività lavorative più di quanto non riescano a fare una intera equipe di assistenti sociali. Allo stesso modo un medico che non pratica il "take home" impedirà ai suoi pazienti di utilizzare tante occasioni di impiego e di attività che nessuno programma riuscirà mai ad organizzare in modo alternativo. Va da sé che l’affidamento del farmaco deve essere fatto seguendo alcune tecniche, che sono semplici, ma che devono comunque essere conosciute. Il medico che affida il farmaco deve essere in grado di interpretare esattamente i messaggi del paziente e di valutare il suo grado di compliance. Ci vuole dunque preparazione, perché pretendere che un medico attivi la struttura del "take home" senza conoscerne le articolazioni sarebbe come pretendere, per tornare all’esempio precedente, che praticasse un’operazione di appendice, se non ne ha la specifica competenza. Purtroppo, la maggior parte dei servizi, se pure sono dotati di operatori e di diverse figure professionali, hanno pochissime risorse concrete (mense, alloggi, attività complementari, assegni per il sostegno temporaneo, ecc.), così che gli operatori sociali, per esempio, che non hanno approntato specifici progetti per fare vera e propria assistenza sociale, spesso si dedicano all’effettuazione di colloqui privi di contenuti, generalmente imposti, alla fine dei quali all’utente non resta niente se non il merito di averli subiti. E qui sorge ancora un altro problema, che è quello delle "figure galleggianti". Professionisti che letteralmente non sanno cosa fare ma che pure, per legge, devono essere presenti in un servizio. Si assiste così, per fare un esempio, alla psicologizzazione forzosa dei pazienti, che sono costretti a sottoporsi a sedute delle quali non hanno, ne sentono assolutamente il bisogno. Devono però farlo, altrimenti non verrebbe loro concessa la terapia metadonica, o un qualsiasi altro beneficio, come per esempio, l'affidamento al servizio sociale in regime di sospensione della pena. Se è vero che nei programmi metadonici devono esistere le risorse di natura diversa da quella medico farmacologica, è anche vero che queste risorse devono essere attivate nei casi in cui se ne riscontra un effettivo bisogno e quando il paziente le richiede. Non è vero che tutti i pazienti in programma metadonico necessitano di terapia psicologica e di interventi sociali. Gli stessi psicologi, se fossero professionisti seri, dovrebbero rifiutarsi di ricevere pazienti non motivati e costretti alle sedute soltanto per accede alla terapia metadonica o a un qualsiasi altro beneficio. Questi, in breve, i difetti e le storture che si riscontrano in moltissimi servizi. Tutti questi servizi non potranno ottenere che risultati del tutto parziali dall’uso del metadone. I loro pazienti, seppure in misura minore, continueranno ad abusare di eroina e saranno continuamente esposti all’insorgere di modelli di abuso poi difficilmente risolvibili. A questi operatori si deve l’immeritata fama di scarsa efficacia che spesso circonda i programmi metadonici e che attizza le critiche dei nemici di questa modalità che, invece, è e resta, all’attuale stato della ricerca, la più controllata, la più indagata negli anni e la più efficace e sicura sotto ogni profilo, rispetto a qualsiasi parametro di risultato che si possa considerare. Oggi, la maggior parte delle normative nazionali e regionali consentono l’attuazione di programmi metadonici con tutte le strutture terapeutiche necessarie. Resta però da risolvere il problema della qualificazione dei medici e degli operatori, se si vuole attuare questi programmi nelle forme corrette. Per concludere, si può affermare che non c’è peggior nemico dei programmi metadonici dello stesso metadone utilizzato male dagli improvvisatori o, peggio ancora, dai suoi oppositori ideologici. Gruppo SIMS, Agosto 1996 Torna alla pagina principale del METADONE
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