Evidenze cliniche ed ipotesi biologiche
Carlo Francesco Nardini - Guido Giannotti - Roberto Nardini
Gruppo S.I.M.S.
Progetto Comunità Aperta
Pietrasanta
Riassunto
Nei venti anni di esperienza del gruppo di lavoro di Pietrasanta come unità di strada, dalla collaborazione con i Ser.T. e dall’osservazione clinica fatta con i pazienti in trattamento presso il Progetto Comunità Aperta coordinato dal Gruppo SIMS, risultano alcune evidenze su: sintomatologia astinenziale e dipendenza. Abbiamo potuto osservare il ruolo che queste hanno sulla tossicodipendenza da eroina.. Il metadone per la sue caratteristiche sembra dare sintomatologia da sospensione ma non possedere la capacità di instaurare il comportamento di ricerca compulsiva, tipico delle sostanze d’abuso. Non crea quindi quel corteo sintomatologico responsabile della cronicizzazione dell’abuso. Le conoscenze attuali ci permettono di tracciare un’ipotesi biologica sulla non disponibilità del metadone a generare appetizione per lo stesso.
Parole chiave
Sintomatologia da sospensione, sindrome da astinenza, farmacodipendenza, eroina, metadone, Sistema Nervoso Centrale.
Abstract
During a twenty year experience as street outreach unit and clinical experience in a joint effort envolving the Public Services and the medical program of the PCA (Open Community Project), our team has found some evidences on withdrawal symptoms and dependence. We have observed the role that withdrawal symthoms and dependence (as a chronic relapsing disorder) plays in the addicted to heroin. Methadone, for its own pharmacodynamic and pharmacokinetics features, while giving withdrawal symptoms, does not seems to produce craving and drug seeking behavior, as drugs of abuse tipically do. Thus, methadone seems to be not responsible for the set of symptoms leading to chronic abuse. The update findings support the biological hypothesis that methadone has no reinforcing properties and it is not appealed as drug of abuse.
Key words
Withdrawal symptoms, Craving, Drug addiction, heroin, methadon, C.N.S.
Molte volte nel campo della ricerca scientifica e ancora di più nella pratica clinica, acquisizionifondamentali sono sotto i nostri occhi tutti i giorni, pronte ad essere notate da un osservatore attento, il quale non deve fare altro che raccogliere queste evidenze, a dar loro significato, a proporne un’elaborazione che le renda accessibili al maggior numero di persone possibili, siano essi addetti ai lavori, amministratori pubblici o semplici cittadini.
Nel nostro caso possiamo affermare di aver goduto, nel campo delle tossicodipendenze, di un punto di osservazione privilegiato. Abbiamo vissuto di persona la degradante realtà della Piazza, intesa come luogo di aggregazione prima e di avvicinamento ad alcune sostanze attraverso il mercato illegale poi, condividendo la nostra gioventù con amici che oggi non ci sono più. Questo ci ha portato a studiare il fenomeno da un punto di vista medico scientifico, non potendo assolutamente accettare di aver perso dei nostri pari e talvolta anche qualcuno migliore di noi, per colpa di una devianza che non avevamo mai visto. Abbiamo sempre portato dentro l’idea della tossicodipendenza come malattia, crudele e capace di colpire anche le menti migliori. Fortunatamente questa richiesta di razionalizzazione è stata accolta e soddisfatta dal gruppo di studio con il quale cooperiamo, permettendoci di accedere a quanto di più autorevole la ricerca scientifica poteva mettere a disposizione. Da anni questo pragmatismo ci ha permesso di assistere come counselor e come medico centinaia di pazienti in esperienze che vanno dalla collaborazione in programmi per tossicodipendenti condotti in sede universitaria, al lavoro nei Ser.T., all’unità di strada. La collaborazione con altre strutture e operatori, in genere fattiva e cordiale, si trasforma in vera ostilità quando dobbiamo impiegare per il nostro intervento quello che a noi sembra uno dei mezzi fondamentali nel trattamento delle tossicodipendenze: il metadone. Nel nostro caso l’intervento ha luogo in un ambiente dove, ad opera della politica indotta dal nostro gruppo da più di venti anni, il farmaco in questione è in pratica "liberalizzato" ed ampiamente disponibile per chi ne ha bisogno.
La nostra unità lo somministra a chiunque si presenti con le proprie necessità di strada e i due Ser.T. limitrofi distribuiscono metadone senza troppe difficoltà, nel peggiore dei casi con una modalità basata sulla richiesta del paziente.
Troppo spesso il luogo comune: metadone uguale eroina o l’infelice definizione "droga di stato" è divenuta il punto di rottura con altri operatori, tanto da porre in serio dubbio ogni nostra certezza. Questo ci ha reso ricettivi e disponibili ad analizzare effettivamente ogni possibile svantaggio o danno iatrogeno indotto da questo medicinale, che la nostra esperienza ci faceva considerare come farmaco d’elezione per la riabilitazione dei tossicomani di strada. Per chiunque ancora nutra dubbi sull’uso del metadone oggi ci sentiamo di poter trarre una conclusione importante, che vuole essere stimolo e provocazione per neurobiologi e clinici. Pensiamo infatti che sia già dimostrabile clinicamente che il metadone non è in grado di creare dipendenza. Non ha in pratica le proprietà tipiche delle sostanze d’abuso, su questo pensiamo si possa formulare un’ipotesi neurobiologica sulla quale lavorare.
La premessa è che troppa confusione si è creata tra concetto di dipendenza e sintomatologia da sospensione. Modernamente per dipendenza dovrebbe intendersi quella tipica sindrome scatenata dalle sostanze d’abuso che porta al comportamento di ricerca compulsiva, capace di mantenere per anni il paziente schiavo di una sostanza. Da notare che molte sostanze che non provocano sintomi somatici eclatanti da deprivazione possono creare dipendenze feroci. D’altro canto esistono farmaci d’uso corrente capaci di dare sintomi fisici da deprivazione senza per questo creare appetizione compulsiva (antiipertensivi, cortisonici, terapie ormonali, alcuni psicofarmaci e anticonvulsivanti).
Analizzando le caratteristiche principali delle sostanze d’abuso possiamo così sintetizzarle:
Ogni sostanza d’abuso produce una propria popolazione di T.D.
Ognuna di queste sostanze induce nel soggetto un comportamento recidivante con numerosi episodi di ricaduta durante i tentativi di detossificazione.
Nel caso in cui la sostanza è disponibile viene impiegata in dosi crescenti
La disponibilità favorisce la tendenza all’uso protratto e non limitato nel tempo
Sul mercato nero ha un prezzo proporzionale alla propria efficacia nel produrre stupefazione.
Abbiamo comparato queste peculiarità con alcuni noti aspetti nell’uso clinico del metadone. La nostra osservazione è stata facilitata, oltre che dalle numerose storie dei pazienti in trattamento, dalla già citata modalità d’uso "a richiesta" di due Ser.T. limitrofi al nostro servizio che per caratteristiche operative erano paragonabili ad enormi stabulari umani dove i pazienti si autodosavano.
Ne emerge un quadro perlomeno sbalorditivo in quanto è evidente che:
Non abbiamo mai trovato, nonostante l’ingente numero dei casi osservati, un T.D. da metadone ossia un individuo che ha iniziato e mantenuto la propria dipendenza con l’uso esclusivo o preferenziale di questo farmaco
Non abbiamo mai potuto documentare ricadute dovute a compulsione verso questa sostanza. I tossicodipendenti da eroina subiscono ricadute che spesso si manifestano con l’abuso di altre sostanze o vere e proprie conversioni di dipendenza, ma queste recidive non riguardano mai l’uso compulsivo di metadone
I pazienti in un programma di trattamento con metadone a mantenimento tendono sempre a sottodosarsi senza voler raggiungere dosaggi terapeutici. L’operatore deve in genere fare un grosso sforzo nel lavoro di counseling per ottenere gli incrementi nel dosaggio, nonostante il paziente palesi la necessità di un aggiustamento con parziali ricadute nell’utilizzo di sostanze d’abuso
I pazienti tendono a limitare nel tempo, di solito non più di tre o quattro mesi, il ricorso alla terapia metadonica. Per le sostanze d’abuso questo è un periodo persino inferiore alla cosiddetta "luna di miele"
Dove il farmaco è ampiamente disponibile ha un costo sul mercato illegale enormemente inferiore alle sostanze d’abuso più economiche. Nella nostra zona 10/15.000 lire il flacone da 20 mg., contro le 10.000 per singola dose (circa 0,5 – 1 ml) di Flunitazepam pronto in siringa (Darkene). Inoltre lo scopo dell’acquisto di metadone non è mai finalizzato alla stupefazione ma piuttosto al dover espletare impegni di lavoro, vacanze o come sintomatico tra un periodo d’abuso e l’altro.
La scarsa abusabilità di questo farmaco è perfino troppo evidente, non è capace di produrre appetizione compulsiva quindi dipendenza. Nessuno gradisce, per usare una frase questa sì abusata "imbottirsi di metadone". Questa espressione svela chiaramente la valenza negativa che viene data all’uso di questo farmaco, che non è praticamente mai ricercato per scopi voluttuari.
Da un punto di vista clinico per noi è evidente che non sia possibile catalogare il metadone tra le sostanze capaci di indurre dipendenza, quindi è necessario cercare di spiegare il perché. Questo cercheremo di ipotizzarlo argomentando con le recenti acquisizioni in campo neurobiologico.
È indubbio che l’oppioide in questione da un punto di vista farmacodinamico leghi gli stessi recettori dell’eroina e della morfina, ma è altrettanto vero che questi vengono efficacemente occupati dalle endorfine e dalla morfina endogena, normalmente prodotta nel cervello dei mammiferi senza che questo produca stupefazione. La capacità di produrre abuso non può quindi essere ricercata nell’azione farmacodinamica ma, secondo noi nella cinetica ovvero nella modalità di esposizione alla sostanza.
La cinetica potrebbe essere il nodo dell’addiction.
Sappiamo che il substrato più credibile della T.D. sia una forte stimolazione del VTA del mesencefalo con forte liberazione di dopamina. Questo centro di "rinforzo comportamentale" è in pratica quello che rende un tipo di esperienza gradevole e quindi in definitiva da ripetere. La sostanza d’abuso eccita il sistema in modo preternaturale e molto più intenso rispetto agli stimoli usuali, registrando come irresistibile ed irrinunciabile quel tipo di esperienza. D’altra parte la pratica quotidiana dimostra che quanto più una sostanza è velocemente disponibile per il Sistema Nervoso Centrale, tanto più è abusabile.
Per quanto riguarda la capacità di indurre dipendenza, è noto che la cocaina inalata è meno efficace della stessa sostanza usata per via endovenosa, o ha effetti ancora più rovinosi se fumata; I superalcolici inducono più facilmente l’abuso che gli alcolici a bassa gradazione. Le benzodiazepine ipnoinducenti sono enormemente più farmacomanigene di quelle a lenta azione.
Per quanto riguarda gli oppiacei è noto che l’oppio produca dipendenza in tempi lunghi se confrontato con l’alcaloide puro morfina. Comunque l’uso di eroina per via inalatoria (nasale) permette di gestire per lunghi periodi la sostanza. L’eroina potremmo definirla "morfina con il turbo". La diacetilazione aumenta la liposolubilità, quindi la velocità di passaggio attraverso la BEE, se usata per via endovenosa crea rapidamente ed irreparabilmente forte dipendenza. Secondo questa ipotesi quanta più dopamina è rilasciata nell’unità di tempo, tanto più la sostanza in questione sarà farmacomanigena. Ciò che favorisce questo processo è da ricercare: nelle caratteristiche della sostanza, nella via di somministrazione ed in definitiva la concentrazione che riesce a raggiungere nell’unità di tempo nei siti strategici del SNC. Il metadone, come è noto, ha un cinetica assai lenta. Dopo l’assunzione per via orale, si distribuisce ampiamente in una grande varietà di tessuti rendendosi disponibile in modo molto graduale per il SNC, con un emivita di 24/36 ore. Probabilmente questa peculiare modalità di funzionamento è capace di riportare un "tono fisiologico" nel Sistema Nervoso Centrale alterato. In quest’ottica il metadone non dovrebbe ancora essere etichettato come "sostitutivo" in quanto avrebbe più la valenza di farmaco capace di rimodulare la neurotrasmissione in aree rese carenti dalle pratiche tossicomaniche. L’ipotesi del reintegro dell’omeostasi nelle aree dopaminergiche ed endorfiniche ci trova in linea con le affermazioni di Avram Goldstein, che in un recente dibattito alla presenza di illustri farmacologi e neurobiologi italiani ha posto l’accento sul valore del concetto di rimodulazione piuttosto che di sostituzione nell’uso clinico del metadone, segnalando come questa caratteristica potrebbe essere addirittura esaltata con l’impiego del LAAM, farmaco con azione cinetica ancora più lenta.
La "sintomatologia da sospensione" presente nella tossicodipendenza da eroina ed anche nella disassuefazione da metadone è solo una parte per lo più trascurabile della sindrome astinenziale. È infatti oramai acquisito che l’astinenza da eroina sia scomponibile in una fase acuta caratterizzata da sintomi somatoperiferici riconducibili in grande misura all’attività del locus cæruleo e sintomi psichici attribuibili ad aree più alte del SNC e da una fase cronica con massima espressione tra il terzo e il sesto mese dal raggiungimento della completa astinenza. Quello che induce il comportamento recidivante è sicuramente la parte psichica acuta e cronica e non certo i sintomi somatici che sono i soli presenti nel disimpegno dalla terapia metadonica in pazienti che hanno completato con successo un ciclo di MMTP. Questi sintomi, che sono ovviabili con un adeguato schema di scalaggio non sono mai responsabili di ricadute, che purtroppo sono fin troppo presenti al riaffiorare anche dopo anni del craving per l’eroina.
Del resto il proverbiale "tonfo" dei metodi di detossificazione rapida dimostratisi altamente inefficaci, tanto da essere bocciati dalla CUF, era facilmente prevedibile proprio perché orientati alla soppressione della parte meno significativa e più fugace della sindrome. Lo stesso Kleber, precursore dell’uso della clonidina per il rapido disimpegno dagli oppiacei ha da tempo riconosciuto l’inefficacia di tale approccio. In chiusura di queste nostre osservazioni, che speriamo stimolino una discussione critica e nuovi studi, auspichiamo che i legislatori si attivino per rendere più disponibile agli operatori questo farmaco, non solo considerato sicuro ed efficace dai più autorevoli autori ed agenzie governative di una parte rilevante dell’occidente, ma potenzialmente non farmacomanigeno, limitando gli obblighi del prescrittore mediante il suo inserimento in tabelle più accessibili.
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