di Mariagrazia Fasoli (Responsabile Ser.T. Montichiari, BS)
Presentato al Convegno "30 Anni di Esperienze: i Programmi Metadonici verso il 2000"
Pietrasanta 10 Marzo 1996
-PREMESSA-
Negli ultimi 20 anni vari provvedimenti legislativi e amministrativi statali e regionali hanno limitato la possibilità dei medici di effettuare terapie con metadone per la tossicodipendenza da oppiacei sulla base dei dati scientifici e nel rispetto del codice deontologico. Tutto ciò ha suscitato ovviamente l'opposizione dì molti colleghi e ha dato origine ad una lunga serie di contenziosi sia sul piano politico che amministrativo e giudiziario. Fare il punto della situazione in un determinato momento non risulta molto utile dato l'interminabile vicenda è in perenne evoluzione e sembra ben lontana dalla conclusione. Sembra piu' produttivo esaminare una delle iniziative in merito che anno avuto successo per cercare di trarre conclusioni generali sul modo piu'opportuno di affrontare questo tipo di problema. In questa relazione illustrerò perciò quella parte della vertenza che ha visto la sottoscritta, affiancata all'Ordine dei Medici della Provincia di Brescia,e il dottor Giorgio Inzani di Milano opporsi al decreto 445/90 con cui l'allora Ministro della Sanità De Lorenzo limitava l'uso del metadone nel trattamento delle tossicodipendenze.
ANTEFATTO
L'articolo 3 del Testo Unico delle leggi in materia di disciplina degli stupefacenti (D.P.R. 309/90) disponeva che il Ministro della Sanità stabilisce con proprio decreto "i limiti e le modalità di impiego dei farmaci sostitutivi" nel trattamento degli stati di tossicodipendenza. Il Ministro ottemperò a questa disposizione emettendo il D.M. 19 dicembre 1990 n. 445 (D.M.445/90). Contro alcuni articoli di questo decreto, peraltro subito oggetto di vivaci polemiche, fu presentato ricorso al Tribunale Amministrativo Regionale ( T.A.R.) da un'associazione antiproibizionista ( il Coordinamento Radicale Antiproibizionista), da due pazienti tossicodipendenti e da due medici: L'uno (il dottor Giorgio Inzani) libero professionista e l'altra ( la sottoscritta ) dirigente di un servizio pubblico per le tossicodipendenze. Inoltre il Consiglio dell'Ordine dei Medici della Provincia dì Brescia nella seduta del 30 maggio 1991, deliberava di intervenire in giudizio a sostegno della sottoscritta mentre l'Ordine di Milano approvava una delibera in sostegno del dottor Inzani. Le motivazioni del ricorso furono evidentemente diverse per i cinque ricorrenti: qui verranno illustrati esclusivamente gli aspetti della vertenza che hanno riguardato i medici.
L'IMPOSTAZIONE DEL RICORSO
Il ricorso amministrativo non può essere fatto per questioni puramente di principio ma presuppone che i ricorrenti abbiano subito un danno dall'atto contestato e che questo danno consista nella violazione di un interesse legittimo cioè di un interesse tutelato dalla legge. In questo caso , secondo la nostra tesi il danno consisteva fondamentalmente nella violazione del diritto del medico, sia dipendente sia libero professionista, ad esercitare la professione in libertà secondo le regola del codice deontologico. Tale diritto è tutelato, a nostro giudizio, dall'articolo 33 della Costituzione della Repubblica :
ART. 33 COSTITUZ.: " L'ARTE E LA SCIENZA SONO LIBERE "
Noi abbiamo sostenuto che, sia che la medicina venga considerata un'arte sia che venga considerata una scienza , il minimo indispensabile perchè possa dirsi libera è la possibilità di esercitarla nel rispetto dei principi deontologici. L'articolo 6 ( ora art. 4 ) del codice di Dentologia Medica fa della libertà professionale il fondamento della professione Medica.
ART. 6 C.D.M. (art 4 nuovo C.D.M.): " L'ESERCIZIO DELLA MEDICINA E' FONDATO SULLA LIBERTA' E SULL'INDIPENDENZA PROFESSIONALE CHE COSTITUISCONO IRRINUNCIABILE DIRITTO DEL MEDICO NEL RISPETTO DEI DIRITTI DELL'INDIVIDUO "
Rispetto alle terapie farmacologiche gli articoli 7 (ora 5) e 19 (ora 12) del Codice di Deontologia Medica recitano:
ART. 7 C.D.M. (art. 5 C.D.M. ): " NELL'ESERCIZIO DELLA PROFESSIONE IL MEDICO DEVE COSTANTEMENTE ISPIRARSI ALLE CONOSCENZE SCIENTIFICHE ALLA PROPRIA COSCIENZA"...
ART. 19 C.D.M. (art.12 nuovo C.D.M.): "OGNI PRESCRIZIONE E OGNI TRATTAMENTO DEVONO ESSERE COMUNQUE ISPIRATI ALLE PIU' AGGIORNATE E SPERIMENTATE ACQUISIZIONI SCIENTIFICHE, ALLA MASSIMA CORRETTEZZA E ALLA PIU' SCRUPOLOSA OSSERVANZA DEL RAPPORTO RISCHIO/BENEFICIO"...
In totale contrasto con tali principi il decreto 445/90 da noi contestato dettava i criteri per un intervento di stretta competenza medica stabilendo negli articoli 1,5 e 7 che i trattamenti sostitutivi potessero avvenire:
-solo con un farmaco (metadone);
-solo in una forma farmaceutica (sciroppo);
-solo se altri trattamenti fossero falliti;
-solo a tempo determinato;
-solo con i dosaggi minimi necessari a conseguire la disintossicazione.
D.M. 445/90 - "E' CONSENTITO UNICAMENTE L'IMPIEGO DEL METADONE CLORIDRATO SCIROPPO "(art. 1 comma 2 )
" I PROGRAMMI CON METADONE SONO RISERVATI AI SOGGETTI PER I QUALI ALTRI TIPI DI TRATTAMENTO SONO FALLITI "(art.5 comma 1)
"IL TRATTAMENTO CON FARMACI SOSTITUTIVI E' A TEMPO DETERMINATO E PERSONALIZZATO :ESSO DEVE ESSERE EFFETTUATO CON I DOSAGGI MINIMI NECESSARI A CONSEGUIRE LA DISINTOSSICAZIONE " (art. 7, comma 1)
In sostanza, di fronte a un paziente che presentasse un certo quadro clinico il medico veniva condizionato nella scelta del farmaco, della forma farmaceutica, nella decisione del momento in cui iniziare il trattamento, nella scelta dell'obbiettivo terapeutico (disintossicazione). Tralasciando il particolare che le indicazioni del decreto contrastavano con alcuni dati della letteratura scientifica, non può sfuggire il fatto che si introduceva con questi articoli un principio del tutto nuovo: il legislatore infatti non si limitava a definire le modalità di ricettazione, il tipo di commercializzazione o il contenuto della scheda tecnica del farmaco ma stabiliva un certo tipo di condotta terapeutica, scelta e imposta secondo le opinioni e gli obbiettivi ministeriali anzichè sulla base del quadro clinico, delle conoscenze scientifiche e del rapporto rischio/beneficio valutati dal medico responsabile della terapia. Tutto ciò appariva in contrasto con i succitati articoli del codice deontologico e violava quindi la libertà dell'arte e della scienza tutelate dall'art.33 della costituzione. Il decreto poneva inoltre delle limitazioni alla libera scelta del medico e del luogo di cura da parte del paziente attraverso l'articolo 3:
D.M. 445/90 - "L'IMPIEGO DI FARMACI SOSTITUTIVI E' CONDOTTO DAL PERSONALE MEDICO DEI SERVIZI PER LE TOSSICODIPENDENZE COMPETENTI PER TERRITORIO E, PER QUANTO DI LORO COMPETENZA, DALLE APPOSITE STRUTTURE OSPEDALIERE O UNIVERSITARIE" (art 3 comma 1 )
Tale disposizione venne contestata nel ricorso perchè lesiva del diritto del paziente alla libera scelta del medico e del luogo di cura garantito dall'art. 19 della legge 833/88 e perchè stabiliva una discriminazione tra cittadini in base ad una condizione personale (tossicodipendenza) violando l'articolo 3 della Costituzione. Si sottolineò tuttavia che essa contrastava anche con l'articolo 34 del codice deontologico:
ART. 34 C.D.M. - "LA LIBERA SCELTA DEL MEDICO COSTITUISCE IL PRINCIPIO FONDAMENTALE DEL RAPPORTO MEDICO PAZIENTE. IL MEDICO DEVE RISPETTARLA E FARLA RISPETTARE"
Si osservò inoltre che riservare il treattamento con farmaci sostitutivi unicamente ai servizi pubblici per le tossicodipendenze, senza alcun riferimento a particolari necessità assistenziali (come per esempio avviene per alcuni farmaci per solo uso ospedaliero quali la dopamina) introduceva una limitazione ingiustificabile nella libertà terapeutica dei medici liberi profesionisti.
LA VICENDA GIUDIZIARIA
In data 4 giugno 1991 il T.A.R. Lombardia, con ordinanza N.500/91, sospendeva la validità degli articoli contestati per i due medici ricorrenti. Il Ministro della Sanità, tramite l'avvocatura dello Stato, ricorreva in appello presso il Consiglio di Stato ottenendo, in data 11 gennaio 1992, la sospenzione del provvedimento del T.A.R. Alcune delle ragioni del Ministero espresse nel ricorso presentato dall'Avvocatura dello Stato rivestono un particolare interesse per l'interpretazione che davano degli articoli contestati. Per negare l'esistenza di un danno per i ricorrenti. L'Avvocato dello Stato sostenne, tra l'altro, quanto segue:
-il D.M.445 non avrebbe riguardato gli interventi "d'urgenza";
-per situazioni "d'urgenza" si dovrebbero intendere quelle in cui il medico accerti uno stato di necessità tale richiedere la somministrazione immediata di metadone o anche di altro farmaco sostitutivo;
-il D.M.445 non sarebbe assolutamente in contrasto con le indicazioni del Consiglio dei Ministri della Sanità delle Comunità Europee del 16 maggio 1989 che rivalutavano i programmi di mantenimento con metadone;
-al contrario, in virtu'del decreto, i programmi di mantenimento sarebbero stati garantiti in tutti i servizi;
-con il termine "disintossicazione" il Ministero non avrebbe inteso riferirsi a un trattamento a scalare ma avrebbe solo voluto indicare la finalità ultima dei trattamenti per le tossicodipendenze;
-la "disintossicazione" differirebbe dal mantenimento non nella durata ma nel fatto che quest'ultimo non sarebbe accompagnato da interventi psico-sociali atti a favorire lo svincolo dal farmaco;
-pertanto i dosaggi minimi necessari a conseguire la disintossicazione sarebbero quelli utili ad impedire ricadute.
Da tutto ciò pareva evidente il tentativo dell'Avvocato dello Stato di ribaltare, attraverso un'interpretazione "elastica" del decreto, gli effetti che questo avrebbe potuto avere sulle prescrizioni di metadone da parte dei medici ricorrenti, al fine di poter affermare l'assenza di danno. Da parte nostra questa posizione, che pure liberalizza di fatto i trattamenti di mantenimento bloccati dal decreto, non era accettabile. La vertenza sulla libertà terapeutica che noi avevamo intrapreso non era infatti su quale trattamento dovesse essere applicato ma su chi lo dovesse decidere. Avremmo pertanto desiderato giungere ad una sentenza definitiva che sancisse non quale trattamento sia indicato per le tossicodipendenze ma la libertà, la potestà e il dovere di curare da parte dei medici. Cio' non fu' possibile perchè nel frattempo un referendum popolare abrogò l'articolo del T.U.309/90 che attribuiva al Ministero la regolamentazione con decreto delle terapie sostitutive facendo automaticamente cadere il D.M.445.
LA SITUAZIONE ATTUALE
L'abrogazione con referendum popolare della norma legislativa che consentiva al Ministro di regolamentare le terapie sostitutive ha impedito la dichiarazione di illegittimità del D.M.445/90. La liberalizzazione delle terapie che si è verificata in seguito al referendum non è perciò stata la conseguenza del riconoscimento di un diritto costituzionale dei medici a esercitare liberamente la professione ma si configura come una semplice scelta da parte del popolo sovrano che, evidentemente, potrebbe essere annullata da un eventuale scelta contraria. Il Ministero della Sanità, non potendo più emanere decreti, ha emesso la circolare 20/94 che contiene "linee guida" per i trattamenti con metadone che il nostro Ordine ha ritenuto confusive, contradittorie e in contrasto con alcune norme di buona pratica clinica ma che, non essendo vincolanti, non possono essere impugnate. L'inadeguatezza delle "linee guida" ministeriali ha riattivato la proliferazione di "linee guida" regionali che hanno ulteriormente confuso il quadro normativo. Come era prevedibile tutto ciò, aumentando la confusione, ha portato ad una ripresa in tutto il paese di processi a medici accusati di prescrizioni abusive.
Il dibattito sviluppatosi in questi anni sia a livello di Ordini dei Medici sia tra colleghi impegnati nei Servizi Tossicodipendenze ci fa ritenere che la storia infinita delle terapie sostitutive non potrà avere un esito soddisfacente finchè ognuno non rientrerà nelle proprie competenze.
In particolare si chiede :
-che il Ministero chiarisca con le sue circolari unicamente i limiti di legge entro cui si svolgono tutte le terapie, farmacologiche e non, applicandoli alle tossicodipendenze;
-che le regioni si astengono da interventi che interferiscano con la regolamentazione dell'esercizio della professione medica e quindi anche delle terapie farmacologiche in quanto non di loro competenza;
-che le "linee guida", se necessarie, vengano elaborate da società scientifiche e discusse in "conferenze per il consenso";
-che l'autogoverno della professione medica venga riportato totalmente in ambito ordinistico.
CONCLUSIONI
Dalla nostra esperienza riteniamo di aver tratto alcuni concetti fondamentali che potrebbero orientare i colleghi che volessero far valere la "libertà di curare" contro impedimenti della natura che abbiamo descritto.
LI RIASSUMIAMO SINTETICAMENTE
LA LIBERTA' DI CURARE :
-è relativa al medico e non al farmaco;
-è garantita dalla Costituzione solo attraverso il codice deontologico e non attraverso le leggi dello stato;
-è necessariamente collegata alla responsabilità professionale che implica l'obbligo di attenersi a tutte le norme deontologiche.
-essendo un diritto del medico in quanto tale e non in quanto cittadino non può rappresentare un problema individuale ma va tutelata attraverso l'Ordine dei Medici così come previsto dagli articoli 5 e 83 del nuovo codice deontologico.
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