Le osservazioni al documento della SITD messo in linea dal Presidente Guelfi all’URL:

   
   

http://www.pol-it.org/ital/dipend8.htm

Il documento non riporta come si è addivenuti alla sua formulazione. Nell’ambito di una pacata e serena dialettica si porge questi spunti di riflessione, avvertendo chi legge che pure sono di parte e che provengono da un convinto antiproibizionista.

Il testo, in buona parte condivisibile, contiene a parer mio alcune espressioni che dovrebbero essere riviste perché non del tutto aderenti alla verità, e conseguentemente, non appropriate per essere contenute in quel modo in un documento ufficiale di una società scientifica. Immagino che, comunque, il documento costituisce una mediazione fra posizioni diverse. In particolare fra le istanze di chi resta proibizionista e gli antiproibizionisti, che pure esistono e che si muovono in modo dignitoso e responsabile anche all’interno della SITD.

Nelle premesse si afferma che l’ipotesi di avviare una sperimentazione in questo senso nasce periodicamente in maniera superficiale per attribuire alla proposta un significato miracolistico. Questo non è assolutamente vero. L’ipotesi nasce piuttosto perché alcuni personaggi inseriti a certi livelli nelle istituzioni prendono atto periodicamente del fallimento del mezzi repressivi, del proibizionismo in genere, e non di meno, nello scarso impatto delle proposte veicolate come salvifiche e dei servizi territoriali che, in gran parte, restano dequalificati e non funzionali al contenimento del fenomeno “droga”. Il tema della dequalificazione dei servizi, peraltro, viene poi ripreso e sviluppato adeguatamente nel corso del documento.

Il documento non rende affatto giustizia né sostiene cose esatte quando si parla delle esperienze inglese e svizzera.

La somministrazione controllata e legale di eroina, circoscritta dopo il 1967 a centri e a medici autorizzati, non è stata mai dismessa in Inghilterra ed è attualmente in opera, pur avendo gli inglesi riconosciuto il ruolo terapeutico del metadone ed avendo incanalato la maggior parte dei soggetti verso quella modalità. Ogniqualvolta si è tentato in Inghilterra di togliere l’eroina dalla farmacopea, la reazione della classe medica è stata decisa e contraria, rivendicando a sé ogni decisione in merito ed evitando l’allineamento di quel paese al ferreo proibizionismo voluto dagli americani. Tuttavia, da un survey condotto dagli americani stessi, al sistema inglese viene riconosciuto il non marginale risultato di avere contenuto sostanzialmente il mercato clandestino dell’eroina, il meccanismo promozionale del suo uso ad opera dei “pushers”, ed in definitiva, il numero dei tossicodipendenti, che ancora oggi è ricompreso entro le poche decine di migliaia. Per la verità quando in Inghilterra vigeva la libera prescrizione medica della sostanza secondo il giudizio esclusivamente medico che veniva formulato semplicemente secondo il principio se “prescrivere era meglio di non prescrivere”, i tossicodipendenti da eroina erano stati contenuti in poche centinaia e tutti i tentativi di impiantare un mercato strutturato al di fuori dei canali legali era fallito. L’eroina illegale non era mai riuscita ad acquisire un valore che compensasse il rischio delle pene previste per lo spaccio. Se è vero che alcuni utilizzarono in modo improprio l’eroina derivante dalle prescrizioni mediche, è altrettanto vero che molti ritengono che il parziale allineamento delle cifre inglesi a quelle degli Stati Uniti e degli altri paesi privi dell’eroina farmaceutica, sia dovuto al subentrato regime semiproibizionista post ’67, che rese remunerativo il mercato clandestino.

Del sistema svizzero non si dice che le valutazioni sono state effettuale anche dagli organismi istituzionali e che, sull’onda delle evidenze più che favorevoli, la somministrazione controllata di eroina, sottoposta a ben due referendum che la hanno promossa, è uscita dalla fase sperimentale, è entrata fra le opzioni nel sistema generale, ed è stata estesa ad oltre 3.000 soggetti. Nonostante le perplessità espresse in sede di OMS sono emerse evidenze riconosciute sulla sostanziale riduzione delle morti per overdose e su vantaggi sul piano complessivo della riduzione del danno. Dopo la sperimentazione svizzera, in conclusione, è venuto in evidenza che, se quella non può essere definita la soluzione, è certamente un strumento promettente che suggerisce un cambiamento delle attuali politiche certamente inadeguate.

Credo che questi siano fatti che non possono essere ignorati.

Restando quindi aperte le valutazioni di ognuno, le critiche e la discussione, forse queste due esperienze meriterebbero rispettivi documenti specifici da elaborarsi e diffondersi da parte della SITD, all’interno della quale esistono pure anime e istanze antiproibizioniste.

Il documento poi, passando in rassegna le possibili terapie, non affronta il problema di una sperimentazione che non va assolutamente posta come terapia, ma soltanto come un’ipotesi di un atteggiamento diverso, per molti vantaggioso, verso una sostanza, nella prospettiva del contenimento dei danni che sta producendo con l’assetto attuale. Manca dunque la risposta ad una domanda che si pone essenziale e, di conseguenza, l’ipotesi di scenario che il documento formula non è del tutto attendibile. La domanda è questa:

“Visto che la maggior parte dei tossicodipendenti, siano essi o no inseriti nei servizi, continua per ragioni non attualmente ovviate a fare ricorso all’eroina e considerato che l’eroina è più che disponibile su tutte le piazze d’Italia, quali sarebbero i vantaggi per i tossicodipendenti che comunque vi ricorrono, se potessero disporre di una sostanza pulita, veicolata in modo asettico e sotto controllo medico, anziché trovarsi costretti al consumo di quella sporca e condizionante del mercato clandestino?”

Giuste, almeno in parte le conclusioni del documento, laddove si auspica che i servizi imparino, prima e finalmente, a fare accoglienza e terapia. Ancora più giusto l’avere posto un problema reale che risiede nella incapacità dei servizi di essere concorrenziali, sia con l’eroina controllata, ma anche e soprattutto, con quella di strada, per proporsi alle scelte dei bisognosi come modalità vivibili, vantaggiose, ed essenzialmente terapeutiche rispetto alla continuazione del consumo di una sostanza, sia pure pulita e deprivata di molte delle sue potenzialità dannose, ma che pure, come agente patogeno, lascia il soggetto ammalato, non gli offre, al di là del danno minore, alcuna prospettiva terapeutica, e quindi, un esito sia stabilmente sostanziale che potenzialmente definitivo.

Insomma, personalmente devo confessarlo: fra tanta eroina sporca che viene distribuita a fiumi, ma che pure impone condizioni subumane ai poveracci che non riescono a farne a meno, a me la disponibilità di eroina pulita non spaventa affatto. Anzi. Quando distribuisco siringhe pulite avverto una frustrazione. La consapevolezza che saranno usate per iniettarsi sostanza sporca. Perché allora non completare il ciclo e fare davvero riduzione del danno fino in fondo offrendo sostanza pulita a chi non si cura, a chi si curerebbe ma non trova, a chi viene comunque curato male e ricorre all’eroina da strada? E’ evidente che l’indice del ricorso alla sostanza pulita, come oggi a quella sporca, sarebbe direttamente proporzionale alla dequalificazione di quei servizi in quella zona e rivelerebbe l’incapacità degli stessi di essere concorrenziali e autenticamente ricettivi.

Traspare inoltre nel documento un concetto che andrebbe messo a punto. Coloro che si sottopongono alla terapia metadonica non lo fanno in attesa di “maturare la decisione di uscirne”. Non c’è niente di intossicante nel metadone e, quando la terapia viene diminuita o sottratta, anche perché non è nulla di piacevole portarla avanti, il soggetto “se la sente” di farne a meno, per così dire, di disintossicarsi.. Vorrebbe, però “non ci riesce”. Si può dire assai più propriamente, per amore di verità, che la disintossicazione, intesa come uscita dall’agente intossicante, appunto, l’eroina, è già avvenuta. L’abbandono della terapia metadonica non dovrebbe essere definita “disintossicazione” ma più correttamente, una fase nella quale i soggetti vanno a verificare - e l’unico modo per farlo è sicuramente quello clinico - la tollerabilità della sottrazione, piuttosto che avere maturato una decisione. Se si accredita l’idea della “decisione” questa immancabilmente comporta l’addossare all’ammalato l’eventuale responsabilità di non averla maturata e di non volerla prendere. Tutti sanno che non è così. E conoscono le conseguenze tragiche di questa errata impostazione sui rapporti operatori/pazienti. Gli operatori esperti ed attenti si scontrano, invece, quasi ogni giorno con la domanda pressante dei soggetti non appena liberati dalla sofferenza, di liberarsi anche dalla cura. Lo decidono anche troppo! Si tratta di un’evenienza ricorrente che fa addirittura parte del quadro sindromico, e che va affrontata con un counseling appropriato.

Nella rassegna delle terapie altre piccole sfumature, frutto forse di mediazioni, possono essere rilevate, specialmente alla luce di evidenze che negli ultimi anni si sono rafforzate. L’MMTP non è soltanto la modalità più studiata. E’ anche quella riconosciuta da un più che autorevole pannello di consenso come la più efficace su numeri consistenti di potenziali pazienti e pone i soggetti in grado non “di sopravvivere”, ma di “vivere in condizioni di salute…..ecc.” Il trattamento metadonico, poi, non dovrebbe essere soltanto “richiesto”, ma “scelto” in maniera consapevole e volontaria fra le opzioni disponibili a seguito di una diagnosi responsabile, non viziata da presupposti ideologici e di un counseling conseguente.

Alla parte che tratta dei dosaggi andrebbe aggiunto che una percentuale non trascurabile di soggetti hanno bisogno di dosi ben maggiori di metadone rispetto a quelle mediamente consigliate, con punte assai inusuali. Ciò è dovuto a problemi di metabolizzazione e pone l’importantissima questione della concentrazione del farmaco, che nel nostro paese risente di antiche, errate teorizzazioni sull’opportunità di non somministrare dosaggi superiori a 30mg.

Molte persone, per ottenere un effetto terapeutico minimo, sono oggi costrette ad ingurgitare enormi quantità di veicolo sciropposo. Si pensi ai soggetti che hanno problemi gastrici e di diabete.

Quando si parla del naltrexone perché non dire che negli Stati Uniti, dove è stato usato primariamente suscitando notevoli entusiasmi, è stato abbandonato per i danni che provocava? Il naltrexone negli USA è la vera sostanza dismessa, e non l’eroina in Inghilterra. Il suo uso è ora ristretto a qualche medico privato e ai gruppi sperimentali che, fra l’altro, ne hanno scoperto un’efficacia sugli etilisti. Bene o male che abbiano fatto gli americani, quella è la realtà.

Alla conclusione, per certi versi più che giusta, avrebbe potuto aggiungersi la raccomandazione di procedere di pari passo sul terreno della normalizzazione e della qualificazione dei servizi, nel senso del rispetto delle richieste, della pronta accoglienza, della incondizionata disponibilità di forme corrette di ogni programma in tutti i servizi pubblici, nelle carceri, ed in quelli che saranno accreditati, ma soprattutto, nella responsabile valutazione della effettiva capacità dei pazienti di seguire un programma anziché un altro e, al tempo stesso, richiamare la necessità di attenzione alle possibili strade alternative ad un sistema che evidenzia limiti oggettivi e che, essenzialmente, non riesce a rispondere alle aspettative per le quali è stato organizzato. In definitiva, l’auspicio di una piena attuazione della normativa vigente, che contiene già i principi essenziali troppo spesso non realizzati sul terreno. Tutta la normativa che contiene i sacrosanti diritti del malato tossicodipendente, intanto, è già oggetto di sfaldamento sotto i colpi dei soliti esperti politicanti che si aggirano nei corridoi dove avviene la programmazione regionale e statale. Quasi del tutto assente, la SITD.

Non di troppo, un richiamo ai paesi che, anche a seguito dell’esperienza svizzera, hanno intrapreso o si accingono ad intraprendere la sperimentazione. Germania, Olanda e Australia.

Una raccomandazione di prudenza e di attenzione, seguita da una dichiarazione di una eventuale disponibilità della SITD ad indicare le sedi scientifiche adatte a tracciare, anche sulla base delle esperienze già intraprese, modalità attuative che evitassero i problemi che ebbero a verificarsi durante lo sciagurato esperimento toscano con la morfina, programmato da sedicenti esperti auto referenziati, e condotto in modo talmente inadeguato, da risolversi in un vero e proprio disastro.

Roberto Nardini (Presidente Gruppo SIMS)



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