Leggo con vero stupore l'articolo redatto da R. Nardini in cui si cita ripetutamente Saman. Lo leggo con stupore, non tanto perchè non condivida alcune cose scritte, ma principalmente perchè lo considera un esercizio polemico "retroguardista". Fosse stato scritto 10 o 5 anni or sono probabilmente il mio stupore sarebbe minore, ma scritto oggi mi domando quale sia il senso e il significato. Giusto per chiarire alcuni aspetti ritengo sia mio dovere come attuale presidente di Saman intervenire e portare, se possibile, maggiore chiarezza. Una chiarezza necessaria perchè non si coglie dall'articolo, ad esempio, che le cose oggi sono profondamente cambiate. In termini di rapporti con il servizio pubblico, con la stessa categoria dei medici ( oggi presenza resa necessaria anche dalle problematiche sempre più complesse - vedi doppia diagnosi ) ed in termini di riconoscimento di diritti e promozione degli stessi. Parlo per Saman, ma ritengo che possa essere esteso anche ad molte altre CT terapeutiche, e parlo partendo dal lavoro svolto in questi 5 anni dai nuovi amministratori e dalla direzione scientifica. Lavoro indirizzato principalmente alla conquista di spazi e di un riconoscimento prima negato . Non sono solito magnificare l'organizzazione Saman ma non deve sfuggire a Nardini che la totalità di cose da lui descritte non accadono ormai da molti anni ( ed alcune non sono mai accadute ). E che le posizioni anche in merito alla riduzione del danno sono profondamente mutate. Nel primo caso, cito ad esempio, i questionari di soddisfazione che somministraiamo periodicamente ai pazienti e la nostra partecipazione ad alcuni progetti europei di valutazione dei risultati. Oltre ai follow up che con la direzione scientifica e agenzie esterne portiamo avanti ormai da anni. Questa aria pesante di negazione sistematica di diritti non si respira ormai da molto tempo. Ma daltra parte non potrebbe che essere così. Le comunità chiuse al territorio e ai controlli del pubblico,( lo ricordi Nardini perchè a fronte di comportamenti criminali da parte di alcuni guru esistono anche una serie infinita di omissioni ( altrettanto criminali ) e disinteresse da parte di chi doveva controllare ), le riunioni di equipe di comunità avvengono in molti casi alla presenza dell'operatore del Sert inviante, un nuovo clima di concreta collaborazione compongono un nuovo quadro che non può essere, all'alba del nuovo millennio, rimosso. Tutte componenti perfettibili e, ci si auspica migliorabili, che però esistono. Sulla riduzione del danno mi è agevole ricordare che i pochi interventi ( che all'interno della cornice normativa in cui ci muoviamo sono possibili ) vengono portati avanti sopratutto con il supporto del privato sociale. E in questa nuovo ( che poi non è più nuovo ) contesto che forse si deve avviare una riflessione. Sulla promozione degli stessi diritti anche agli stranieri non regolari, ad esempio. Sulla possibilità di vera libertà di cura rispetto ai servizi quando questi sono accreditati. Poi mi si può dire che le comunità terapeutiche sono del tutto superate, se ne può discutere e, forse, si possono trovare anche soluzioni alternative. Si può pensare ad una nuova riformulazione dei servizi, ad un processo vero di differenziazione, ad ulteriori specializzazioni. Ma questo è un altro discorso rispetto a quanto leggo nell'articolo. Ma quello di cui, ritengo, non ci sia bisogno è ben rappresentato dall'articolo di cui stiamo discutendo. Ideologismi e posizioni superate dal tempo che invece di fermarsi corre. Invito Nardini a visitare una delle nostre comunità e a rendersi conto di come le cose siano profondamente mutate, al contrario di alcune idee che evidentemente rassicurano solo chi le esprime. Non credo che l'impostazione data da Nardini sia una buona impostazione, sopratutto se avallata da frasi - quale quella citata di Macaccaro - che potrebbero valere per qualsiasi area di intervento sia esso sanitario sia sociale ( e della ricerca medica su HIV e AIDS cosa potrebbe dire il direttore di Sapere ).
Achille Saletti, Saman
H O M E
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