Una storia conosciuta pone chiunque in grado di valutare meglio, di compiere
scelte più coerenti e, in definitiva, migliori. Per questo chiedo
ai destinatari la pazienza di scorrere questo messaggio che, nonostante
lo sforzo di sintesi, non può essere brevissimo.
In principio in Versilia, quando già i primi tossicodipendenti
iniziarono a creare problemi fra la gente ed a chiedere soccorso agli
ospedali ed ai medici, non c'era niente. Fummo proprio noi, un gruppo
di volontari organizzati come ACM (Associazione di Controinformazione
Medica), a reclamare ed ottenere i primi servizi strutturati. Correva
l’anno 1977. Dopo alcuni scontri sfociati anche in vicende giudiziarie,
a Pietrasanta nacque il primo centro versiliese di assistenza ai tossicodipendenti
in attuazione di quanto disposto dalla allora del tutto inapplicata legge
685/1975. Fu messa a disposizione una stanzetta all'Ospedale Lucchesi
e ci assegnarono un medico ed un'infermiera. Così cominciammo a
lavorare fra mille difficoltà e fatti spesso segno della disapprovazioni
di molti. A Viareggio, salvo un medico di famiglia che si era messo a
prescrivere morfina, non c'era ancora niente, ma quel medico non ne poteva
più. Era talmente assediato dai tossicodipendenti tanto che era
arrivato a consegnare le ricette sulla canna del fucile!
Quando il servizio passò nel distretto, vi furono assegnati due
medici a 12 ore settimanali ciascuno, e un'infermiera. Tutto il resto
era lavoro di volontariato. Nacque così "L'Esperienza di Pietrasanta"
i cui risultati, indiscutibilmente promettenti, vennero pubblicati su
diverse riviste scientifiche e sul bollettino del ministero della sanità.
Perché? Semplicemente perché ci si era dotati di una direzione
scientifica che ci aveva guidato nella ricerca dei materiali di riferimento.
L'aveva assunta Alessandro Tagliamonte, allora Direttore del Dipartimento
di Neuroscienze dell'Università di Cagliari, che aveva condiviso
l'esperienza e si era offerto di presentare la nostra prima pubblicazione
"Il Diavolo non Esiste" al centro culturale "Luigi Russo".
Quindi noi siamo stati i primi fondatori e conduttori del servizio pubblico
di Pietrasanta. Di questa esperienza, basata sui materiali della scuola
di Dole & Nyswander, giunse notizia negli Stati Uniti, e fu proprio
la dottoressa Nyswander ad apprezzarla in modo particolare con una lettera
nella quale esprimeva il suo autorevole compiacimento, ed invitò
il nostro gruppo a frequentare gli istituti di ricerca più accreditati
negli Stati Uniti, dove ormai ci rechiamo con frequente periodicità
e da qualche anno organizziamo la sezione internazionale della conferenza
dell’AATOD (American Association for the Treatment of Opioid Dependance).
Quando la regione istituì i servizi pubblici i dati furono falsati
dal sociologo della USL Viareggina per fare in modo che in Versilia, anziché
due servizi autonomi, ne nascesse uno solo sotto il controllo di Viareggio
dove le pratiche di assistenza erano molto diverse da quelle del centro
di Pietrasanta e dove gli operatori procedevano in modo discutibile e
senza alcun riferimento ai materiali scientifici. Nacque così un
problema, e gli operatori di Viareggio provocarono una vera e propria
persecuzione contro quelli di Pietrasanta, denunciandone l'operato perfino
alla magistratura. Il contrasto si acuì allorquando a Pietrasanta
vennero accolti alcuni pazienti estromessi da Viareggio e lasciati senza
assistenza ad arrangiarsi per la strada. La dottoressa Fosca Re ebbe a
subire una denuncia e soltanto dopo due anni fu prosciolta in istruttoria.
Ma erano gli operatori di Viareggio che dialogavano con la regione, ed
alla regione non c'erano allora le informazioni scientifiche oggi disponibili.
Non era ancora riconosciuto il concetto di tossicodipendenza come evento
patologico per i più cronico e recidivante. C'era soltanto un'impostazione
ideologica veicolata da un gruppo di pseudo esperti per la quale si doveva
soltanto alleviare la sindrome di astinenza con quantità di farmaco
contenute, effettuare una sottrazione della terapia e poi procedere con
interventi non medici. Circa alla metà degli anni ottanta, su espressa
denuncia degli operatori viareggini, la regione minacciò noi e
i nostri medici di vera e propria criminalizzazione se questi non avessero
contenuto le dosi del metadone entro i 30 mg. e non le avessero ridotte
con i ben noti scalaggi programmati. Tutte queste vicende possono essere
descritte con tanto di nomi e cognomi dei protagonisti, anche se non ne
vale la pena e non aggiungerebbe niente al succo della questione che ci
interessa.
Fummo così costretti ad abbandonare quel centro che avevamo fondato,
reclamato dalle istituzioni e condotto per molti anni con tanta passione
e con tanto successo. Un successo che non era stato digerito da chi trattava
i pazienti in ben altro modo ed intendeva legittimarsi in quelle pratiche
che, oggi non ci sono dubbi, sono ben riconosciute come inefficaci, pericolose
e oltretutto, illegittime. Le descriviamo sommariamente. Si accoglievano
i pazienti dopo attese di settimane o mesi. Si somministrava loro pochissimo
farmaco a scalare, così che questi continuavano gli abusi. Alla
terza urina positiva i pazienti venivano cacciati e non potevano ripresentarsi
che dopo tre mesi. E guai se avessero insistito per entrare prima o protestato!
Nelle lettere di dimissione forzata, che ancora conserviamo nei nostri
archivi, era contenuta un'esplicita minaccia di denuncia penale a chiunque
avesse insistito per rientrare. In definitiva, venivano estromessi dalle
cure proprio gli individui più bisognosi e più malati. Questa
fu la politica introdotta anche a Pietrasanta dopo che i medici viareggini
ne assunsero il controllo. Noi tornammo alla nostra attività di
unità di strada ad assistere, del tutto impotenti, alla tragedia
che si produsse. Pazienti stabilizzati e socialmente integrati tornarono
in massa agli abusi. Alcuni morirono di overdose. Altri contrassero l'AIDS.
Altri ancora furono incarcerati. Ci muovemmo insieme ad altre associazioni
del territorio, ma le nostre proteste non furono ascoltate. Pietrasanta,
in molti lo ricordano ancora, era diventata un centro di smistamento e
di spaccio della droga e i tossicodipendenti avevano colonizzato diverse
aree nei vari quartieri. La gente era letteralmente terrorizzata e spesso
vittima di una criminalità diffusa e divenuta intollerabile. Lo
scenario fu considerato con preoccupazione anche dalla amministrazione
comunale che ammise, con ripetuti ordini del giorno, l'inadeguatezza del
servizio pubblico e chiese all'autorità sanitaria di riconsiderare
la politica in atto. Ma senza risultato. Fu così che la giunta
comunale di allora incaricò il nostro gruppo e i suoi direttori
scientifici, al momento Tagliamone dell'Università di Cagliari
e Castrogiovanni dell'Università di Pisa, di elaborare un progetto
di intervento che integrasse quello pubblico. La cosa era fattibile perché
intanto un referendum, del quale eravamo stati fra i promotori, aveva
annullato la norma per la quale i tossicodipendenti potevano ottenere
assistenza medica soltanto nei presidi pubblici, e aveva restituito tale
facoltà ad ogni esercente la professione medica. Il progetto prevedeva
così la messa in funzione di medici universitari, per i quali era
stato richiesto ed organizzato anche uno specifico dottorato di ricerca
in tossicodipendenza. Si pensò che questi specialisti, inviati
dall'università a fare tirocinio e ricerca presso il Gruppo SIMS,
avrebbero potuto, in quanto medici, iniziare una attività di assistenza
slegata dall'allora GOT. E così fu. Il progetto, denominato PCA
(Progetto Comunità Aperta) fu inoltrato dall'amministrazione comunale
di Pietrasanta, con l'adesione di altre cinque amministrazioni della Versilia,
alla Presidenza del Consiglio dei Ministri, fu approvato e finanziato.
Ma avendo, requisito allora richiesto, valenza multizonale, ammise come
partecipanti anche diversi soggetti provenienti da altre realtà.
E' chiaro che per le enormi differenze di formazione e quindi di impostazione
metodologica, il PCA fu vissuto male dagli operatori del GOT. Si ricorda
che una volta, due medici in formazione al PCA si recarono al GOT per
discutere un caso e furono letteralmente spintonati fuori dalla dottoressa
del centro pubblico.
La situazione in Versilia, però, era talmente deteriorata che si
imponeva un cambiamento nelle politiche inefficaci portate avanti dal
GOT, che intanto assumeva il nome di CMAS. E il cambiamento iniziò
piano piano allorquando al CMAS di Viareggio, già rinominato SERT,
fu incaricata come responsabile la dottoressa Aurora Valicenti, ancora
operante nella nostra Azienda USL, che vale la pena di nominare. La dottoressa
Valicenti ebbe l'accortezza di volersi documentare. Si incontrò
con i nostri operatori, richiese dei materiali, esaminò la letteratura
disponibile ed iniziò, sebbene fra mille difficoltà ed opposizioni,
il lento processo di trasformazione del servizio. Nel frattempo noi eravamo
stati convocati in commissione al Ministero della Sanità ed avevamo
collaborato alla stesura delle prime linee guida sui trattamenti sostitutivi
in attuazione degli esiti del referendum del 1993, modificazioni sostanziali
che nei SERT continuavano ad essere ignorate. Fu così emanata la
ben conosciuta circolare ministeriale n. 20 del 1994, ancora in vigore.
Poi le cose andarono progressivamente migliorando e progressivamente miglioravano
anche i rapporti del servizio pubblico con il PCA. Alcuni operatori pubblici
cambiarono. Furono assunte nel servizio pubblico due dottoresse che avevano
seguito il dottorato di ricerca all'Università di Pisa e che erano
state in borsa di studio di formazione e tirocinio presso di noi per un
intero anno. E le cose cambiarono. Si crearono le condizioni per i primi
contatti. Per le prime azioni in collaborazione. E più il SERT,
si trasformava nel senso indicato dalla letteratura scientifica e dalle
analisi delle esperienze cliniche, e più si intrecciavano rapporti
e collaborazioni. Momenti di formazione erano state anche le periodiche
conferenze nazionali sulla clinica organizzate dal Gruppo SIMS insieme
alla SITD (Società Italiana Tossicodipendenze) e che avevano visto
i contributi dei migliori ricercatori e clinici del mondo.
Si fecero così i primi accordi, i primi protocolli di interazione
ed i giovani del territorio vennero a disporre di interventi maggiormente
articolati, di orari più dilatati e di operatori che lavoravano
in continuo dialogo e confronto fra di loro. Il PCA era diventato ed è
tutt'ora, una componente importante della rete di assistenza, un patrimonio
di conoscenze e di operatività che ha letteralmente trasformato
la realtà di Pietrasanta ed, in parte, tutte quelle nelle quali
il Gruppo SIMS organizza, su richiesta, corsi di formazione e di aggiornamento.
Di qui la sollecitazione dell'attuale amministrazione comunale all'Azienda
USL di procedere verso la stipula di una vera e propria convenzione per
la prosecuzione e lo sviluppo di servizi medici apprezzati e riconosciuti
come efficaci, e ritenuti ormai irrinunciabili. E’ utile ricordare
che il precedente Direttore Generale della Azienda USL, dottor Pallini,
aveva ipotizzato la concentrazione del servizio pubblico in un'unica sede
a Viareggio, possibile in seguito alla attivazione di servizi medici meglio
strutturati al PCA ed alla conseguente interazione in rete delle due realtà
(cosa che, attualmente, è stata realizzata). Oggi i presidi versiliesi,
con le due sedi di Viareggio e di Pietrasanta, sono certamente dei migliori
fra molti rispetto alle capacità di accoglienza, di ascolto e di
intervento. Sarebbe interessante illustrare in una riunione allargata,
anche in regione, tutte le tappe e i dettagli di queste progressive realizzazioni
comuni. Purtroppo, questo non è avvenuto ovunque in Toscana. Alcuni
servizi toscani, infatti, non dispongono neanche degli strumenti minimi
per la cura di casi presenti in numero non trascurabile in una popolazione
di pazienti. Alcuni di questi, non trovando adeguata assistenza nei loro
servizi di residenza, sono approdati a Pietrasanta, luogo conosciuto anche
attraverso la rete telematica, come capace di erogare servizi altrove
indisponibili.
E la storia si ripete. Alcuni SERT toscani, è comprensibile, non
gradiscono queste migrazioni, né gradiscono l'attività di
consulenza che è di routine al PCA. Spesso ci si limita ad illustrare
a chi ce lo chiede i diritti che la legge stabilisce per i tossicodipendenti
che intendono curarsi e i principi basilari della clinica ormai riconosciuta
valida in ogni sede scientifica qualificata. Questo può avere disturbato
gli operatori dei servizi che non rispettano quei diritti e che non seguono
le linee guida diramate sia dal ministero che dalle società scientifiche,
fino al punto di relegare i loro pazienti ad un rapporto sclerotizzato
del tipo "prendere o lasciare". Di questo, e degli abusi in
uso in alcune carceri sui detenuti tossicodipendenti, abbiamo recentemente
discusso anche con l'assessore alla sanità della Regione Toscana,
il quale ci ha ascoltato con interesse e promesso di affrontare il problema
prossimamente in un apposito tavolo organizzato (che poi non ha affatto
organizzato). Nel frattempo gli abbiamo lasciato un pro memoria, ed ancora
aspettiamo di essere convocati.
Ciò può provocarci problemi. Qualcuno ci ha anche già
consigliato di non procedere in questa azione avvertita come disturbo
nei confronti di quei SERT dai quali i pazienti si allontanano con la
comprensibile convinzione di salvaguardare la loro salute. Così
noi, anche per il rispetto delle intese intervenute fra Comune ed Azienda
ASL, stiamo intanto consigliando, anche se non li possiamo obbligare (art.
113, legge 309/90 che sancisce il diritto degli utenti di scelta dei medici
e dei luoghi di cura), tutti i non residenti in Versilia di riferirsi
ai loro servizi, ai loro medici ed alle farmacie di residenza. Ma ce li
mandiamo informati. Fra i pazienti del PCA è nata anni fa ed è
operante una associazione di auto aiuto, il DDT (Difesa dei Diritti dei
Tossicodipendenti) che ha lo scopo di tutelare i diritti dei pazienti
in cura. E' un'azione doverosa, poiché anche le altre realtà
dovrebbero organizzarsi per l'assistenza di questi pazienti che presentano
problemi particolari. Questi, per parte loro, hanno il diritto di reclamare
dalle loro autorità sanitarie interventi che siano efficaci, aderenti
alle leggi, rispettosi della dignità e delle possibilità
dei pazienti, come quelli che, con fatica ma con determinazione, sono
stati organizzati in Versilia.
Dopo avere approfittato della Vostra pazienza in uno sforzo di sintesi
che, pur avendo tralasciato molti e significativi episodi degni di essere
rappresentati, non è riuscito meglio, avete ora maggiori informazioni
sul ruolo svolto dalla nostra associazione, sull’impatto che i servizi
medici del PCA, ormai attivi da oltre 16 anni, hanno avuto sul territorio,
e quanto abbiano contribuito a migliorare gli standard di qualità
dello stesso servizio pubblico. Si resta quindi a disposizione con i nostri
operatori, i nostri medici e i nostri direttori scientifici, per eventuali,
ulteriori ragguagli ed approfondimenti.
Pietrasanta, 1977
Rivisto ed aggiornato, settembre 2009
H O M E
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